il commento del giorno - Giovanni Paonessa official web site

official web site
CharitY
Vai ai contenuti

il commento del giorno

 
Lo confesso. Appartengo alla generazione che, dopo ogni elezione (dalle Comunali alle Europee)  si dedicava all’analisi del voto. Questo rito, spesso caratterizzato da una forte connotazione autolesionistica, non si consumava al riparo di una tastiera, ma in riunioni fumose (poiché era consentito fumare) e fumose (poiché, spesso, non si riusciva a trovare facilmente il bandolo della matassa).
Queste riunioni hanno perso il loro fascino da quando sono state anticipate dagli interminabili dibattiti televisivi che hanno preso il posto delle sobrie trasmissioni di Tribuna Politica, nelle quali si parlava uno alla volta, sulla base dei risultati ottenuti, con limitata e regolamentata possibilità di contraddittorio. Pertanto, per noi militanti di base (o di vertice basso), anche dopo il rituale appuntamento televisivo, restava intatta la voglia di discutere, confrontarsi, ascoltare il punto di vista dei dirigenti e, nei casi più fortunati, del “nazionale”. Da tempo, invece, tutto si consuma nel corso di una “maratona Mentana”, diventata un consolidato format televisivo. Le valutazioni si archiviano in fretta e poi, via, in attesa della prossima partita. Sì proprio come con le partite di calcio. Si analizzano alla moviola i falli non fischiati, gli errori dell’allenatore, la formazione sbagliata e i cambi non effettuati per tempo.
Di grazia, possiamo sottrarci a tutto questo? Possiamo dare un senso, un altro senso, alla nostra lettura delle cose del mondo?
Tra le principali sciocchezze ascoltate dopo le elezioni nelle Marche e in Calabria, c’è sicuramente il tentativo di tirare per i capelli la mobilitazione per la Palestina. In sintesi: “non ci sarebbe stato un effetto Gaza” e il principale indicatore sarebbe proprio il risultato di AVS, senza alcun dubbio sotto le attese. Dicesi attese il raffronto con i sondaggi nazionali dai quali, a quanto pare, rischiamo di dipendere un po’ tutti, dando per scontato che l’elettorato non tenga conto delle dinamiche generali, dei fattori locali e della composizione delle liste.
Ora, è perfino superfluo evidenziare che – in TV lo ha dovuto spiegare con un disegnino Nico Stumpo del PD – la mobilitazione per Gaza non è nata perché c’erano in vista le elezioni regionali d’autunno. Soffermarsi su questo punto significa avvalorare le tesi deliranti della destra. Inoltre, le mobilitazioni hanno coinvolto prevalentemente le grandi città e – per fortuna – decine di migliaia di giovani perfino minorenni.  
Vorrei provare a individuare alcuni elementi per analizzare, con un minimo di raziocinio, i risultati elettorali di Marche e Calabria.
Partiamo dall’astensionismo. Un dato sempre più allarmante. Se si confrontano i dati storici, un numero sempre minore di persone si reca alle urne. Poco dovrebbe consolarci che sia una tendenza estremamente diffusa nel mondo (nella parte di mondo che può, con modalità più o meno democratiche, recarsi alle urne). C’è chi ha studiato il fenomeno già dai tempi delle prime elezioni nei Paesi dell’Est Europa, dopo il crollo del muro di Berlino, disertate da un numero consistente di persone che la “democrazia” l’avevano appena guadagnata, o dalla crescente disaffezione negli Stati Uniti e nelle democrazie così dette “mature”. Dai primi risultati di questi studi, sembrerebbe emergere che non sia (tutta) colpa di Elly Schlein. Ma, anche volendosi soffermare al solo nostro Paese, tra coloro che alle 15.01 di lunedì 6 ottobre già stavano puntando il dito, si concentrano soggetti che fanno riferimento a schieramenti che, quando partecipano alle elezioni, raccolgono risultati imbarazzanti. Eppure non ci fanno mancare la loro saggezza. Per ultimo, temo che le percentuali di “astenuti” siano anche appesantite dalla composizione stessa delle liste degli elettori.  Se è facile depennare i deceduti, è praticamente impossibile individuare gli  aventi diritto al voto che, per motivi diversi, risiedono al di fuori della Regione di appartenenza e certo non rientrano per votare. Questo dato colpisce di più (per quanti punti percentuali non dovrebbe essere difficile stimarlo) le Regioni a forte tasso di emigrazione. Fonte ISTAT: nove calabresi su mille sono emigrati nel biennio 2023-2024. Naturalmente non c’è nessuna correlazione diretta con gli orientamenti elettorali, ma questo dato incide sulla stratificazione sociale di quella Regione. La Calabria, così come le Marche, è una terra di coltivatori e allevatori, di artigiani, di piccoli operatori commerciali e turistici e di pubblici dipendenti. E dal sistema pubblico dipende anche un indotto più o meno esteso con relativa gestione privatistica (clientelare e padronale) dei servizi ai cittadini (si pensi alla sanità). Insomma, non viene a determinarsi un granitico blocco sociale propenso al cambiamento. Le parole d’ordine della destra, anche nella versione meno cruenta che è delegata a Forza Italia, fanno leva sugli interessi economici individuali (primo tra tutti la possibilità di eludere o evitare del tutto le tasse) e sulla conservazione dello stato delle cose esistenti. Poi, certo, non aiuta che dall’altra parte non si riesca a fare leva su altri “sentimenti”. Se si ha voglia di porsi interrogativi che meritino una riflessione che vada oltre il “post” di giornata, chiediamoci dove sia mai finito quel 16,17% di voti che, soltanto quattro anni fa, in Calabria fu raccolto da Luigi de Magistris e dalle liste che si erano coagulate intorno a un tentativo di “sparigliare” la situazione data.
Se proprio dovesse risultare complesso parlare di programmi, quanto meno un riferimento alla suggestione di parole d’ordine mobilitanti dovrebbe risultare indispensabile. Temo che uno dei temi imprescindibili sia e continui ad essere il lavoro. Il lavoro “buono” – senza aggettivi, come avrebbe detto Massimo Troisi – per scacciare il lavoro precario, il lavoro nero, il lavoro sommerso, il lavoro finto autonomo, il lavoro a tempo determinato, il lavoro sottopagato. Nelle aree interne, sottoposte a spopolamento e invecchiamento, bisogna invertire la tendenza. Ma con fatti concreti. Proposte che riescano a tenere insieme le popolazioni residenti e nuovi flussi di popolazione in grado di contrastarne il declino, che non deve fare rima con destino. Quanta nuova economia può mettere radici nelle aree più depresse e difficili del Sud? Perché non farsi carico di proposte di sviluppo territoriale in controtendenza rispetto alla sempre più asfissiante e impoverente pressione sulle grandi e medie città?
Per farlo, non servono geometri incaricati di delineare perimetri o agronomi, intenti a definire la qualità del campo. Serve riprendere in mano le categorie dell’economia, della sociologia della demografia, dell’ecologia e della geografia sociale. Poi, dovrebbe venire naturale presentarsi insieme alle elezioni.
Un’ultima riflessione sulle liste elettorali. In attesa di tempi migliori, le elezioni arrivano puntuali e bisogna affrontarle con le risorse di cui si dispone. Mi sembra già una novità che da qualche tornata non sia necessario, ogni volta daccapo, andare a cercare sulla scheda elettorale il simbolo adottato per l’occasione. Ma, per una lista che prevalentemente raccoglie voti d’opinione, è indispensabile essere attenti a tutti i fattori, a partire dalla legge elettorale che, come è noto, varia al variare della tipologia di elezione in ballo. Turno secco o doppio turno, sbarramento al 4%, numero di preferenze a disposizione dell’elettore, sono aspetti all’apparenza tecnici, ma che – per chi non vuole limitarsi a una testimonianza – rilevano anche nel rapporto con le altre liste con le quali si costituisce una coalizione. Non riuscire ad eleggere un consigliere regionale per uno 0,15% (come in Calabria), sollecita una riflessione sulla attrattività delle liste. Evitiamo equivoci. Gli “acchiappavoti” sono perfino controproducenti e, spesso, ci lasciano il giorno dopo. Ma, non da meno, la cura nella compilazione delle liste dovrebbe essere accurata. Se si ragiona partendo dal dato relativo all’ultimo sondaggio televisivo, si va incontro a una sconfitta annunciata. Il sostegno degli elettori deve essere conquistato ogni volta daccapo. Si può realisticamente ritenere che l’elettore potenziale di AVS spazi tra l’astensione “attiva” e il voto al PD. La differenza la fa (anche)  la qualità delle liste. Alle ultime elezioni europee abbiamo avuto il traino di candidature importanti, a partire da Ilaria Salis e Mimmo Lucano. Alle precedenti elezioni politiche funzionarono le candidature di Ilaria Cucchi e di Aboubakar Soumahoro (al di là delle vicende familiar-giudiziarie di quest’ultimo, rispetto alle quali continuo a pensare che sarebbe stato necessario gestirle diversamente).  
Ecco, allora, che risultano incomprensibili, strumentali e perfino interessate, le obiezioni rispetto all’ipotesi della candidatura di Nichi Vendola in Puglia. Qualcuno – che begli amici – punta a non far superare il quorum del 4% alla lista di AVS?
E in Campania cosa succederà? Incontrando cartelloni pubblicitari per strada e seguendo Facebook, sto lentamente acquisendo informazioni in merito alla composizione delle liste di AVS. Sarà un segno dei tempi ma, in tutta onestà, immaginavo una modalità meno distillata. E, soprattutto, più ragionata. Che più candidati concorrano per arrivare in una posizione utile per risultare eletti ci può stare. Mano, francamente, la corsa affannosa agli “accoppiamenti” e le strategie da cortile. AVS si gioca una partita delicata. A un segmento del suo elettorato potenziale, tutto il teatrino che si è recitato intorno alla decisione di candidare Roberto Fico non è andato a genio. Perfino la querelle interna al PD e all’elezione del segretario regionale, che avrebbe dovuto interessare esclusivamente quel partito, scoraggia una fetta di potenziale elettorato. Mi era sembrato di capire che la lista di AVS potesse aprirsi e aggregare alcune importanti esperienze territoriali ma, per quello che si comprende, non se ne farà nulla. Quindi attenzione.  
Tra voto a Potere al Popolo/Rifondazione/Comunisti, ulteriore astensionismo e voto di protesta a PER, si rischia di fare la parte dei vasi di coccio tra le botti di ferro. C’è tempo per dare una bella sterzata. Rafforzare la lista con candidature di servizio, differenziare la rappresentatività delle aree territoriali e degli ambiti di impegno politico-sociale, per puntare a eleggere una candidata/un candidato di assoluto prestigio. Anche, se fosse necessario, accantonando  pur legittime aspirazioni individuali.  
E poi, anche per la Campania, è opportuno provare a scegliere i temi sui quali impegnarsi prioritariamente, raccogliendo e trasformando in programma (anche predisponendo proposte di legge)  le istanze delle tante aree di disagio e sofferenza sociale che caratterizzano la nostra Regione. Le potenzialità ci sono tutte.  
   
Giovanni Paonessa - official web site
info@giovannipaonessa.it


Torna ai contenuti